
Nelle imprese esistono tutta una serie di asset intangibili che, nonostante la loro immaterialità, hanno la capacità di divenire elementi portanti delle organizzazioni stesse, valori distintivi e peculiari che concorrono al successo lavorativo ed alla capacità di distinguersi dai propri competitor.
Molte volte si “quantifica” l’importanza di un brand basandosi principalmente sulle sue risorse finanziarie sebbene esista un mondo sommerso di capitali difficilmente definibili ma egualmente importanti: le competenze del personale, i referral dei clienti, le abilità innovative, la soddisfazione degli stakeholders e la conseguente reputazione che le imprese si costruiscono nel loro viaggio di crescita. Si creano principalmente dei flussi informativi provenienti sia dall’esterno che dall’interno dell’azienda che concorrono a costruirne l’immagine, la capacità di influenza sul mercato, la consistenza della propria cultura e dei propri valori. Il feedback positivo proveniente dai clienti e la fidelizzazione dei dipendenti concorrono ad incrementare questo capitale interno, rendendolo un potere competitivo di grande valore nonostante non sia una voce che compare in bilancio.
Generalmente si è soliti scorporare il concetto di “capitale intellettuale” aziendale in tre categorie:
- capitale umano: generato essenzialmente dalle skills, dalle attitudini e dalla flessibilità delle persone; da una cultura aziendale improntata alla continua formazione e valorizzazione dei collaboratori
- capitale organizzativo: dato dalla cultura comunicativa, dalla logistica interna e dalla qualità dei processi operativi
- capitale relazionale: costruito sui rapporti con gli stakeholder e finalizzato ad avere vantaggi reciproci
Nell’era del digitale, dove tutto si sposta sulla percezione delle cose e sulle emozioni che suscitano in noi, il capitale intellettuale diviene uno strumento indispensabile che ogni imprenditore deve considerare mentre pianifica la nascita e la crescita della propria azienda; solo avendo precise linee direttive interne, grandi investimenti sulla qualità del personale e spiccate capacità comunicative allora l’impresa può considerarsi “ricca”, non solo in termini economici, ma anche per essersi diversificata e resa unica. Creare valore è un processo che richiede molto impegno e dedizione ma ha un impatto a lungo termine e si amplifica esponenzialmente ad ogni successo raggiunto, che sia l’attrazione di un nuovo talento, una leadership collaudata ed adattabile alle esigenze del mercato, una modalità nuova di collaborare o di ricercare clienti.
Ovviamente si rende necessaria una qualche forma di “quantificazione” di questo capitale, al fine di essere utile nel management delle imprese: si può procedere con un report tecnico che dia corpo a fattori percepiti come inconsistenti, riuscendo così a profilare il know-how aziendale, la sua reputazione e la salute del suo capitale relazionale. A conclusione di questo processo valutativo si potranno ottenere degli indicatori di identità, affidabilità e di successo.
Il valore di questi asset intangibili dipende anche dalla loro liquidità ossia dalla loro capacità di sostenere le strategie aziendali: le risorse umane devono mostrare le giuste qualità e competenze per supportare la crescita e l’innovazione, interiorizzando i valori e la missione dell’impresa.
A causa dei cambiamenti nello scenario tecnologico e sociale, la conoscenza e l’esperienza sono sempre più a scadenza e, a maggior ragione, servono sistemi più adeguati a misurare i vari aspetti del sapere per gestire i cambiamenti. Con un knowledge management adeguato si può gestire la propria attività in modo competitivo ed accattivante, affiancando al patrimonio finanziario un valore aggiunto insostituibile.
Nell’economia intangibile i servizi sono importanti quanto i prodotti e la conoscenza è produttiva solo se usata per fare la differenza. Voi in cosa vi differenziate? Quale valore aggiunto siete in grado di trasmettere ai vostri clienti?
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