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La memoria influenza ogni evento della vita e se il ricordo non è positivo (first impression last) creerà una percezione simile dell’evento in sé: ecco perché il primo giorno di lavoro in una nuova realtà (e le successive settimane) sono molto importanti, capaci di influenzare gli esiti futuri della collaborazione e di divenire componenti dell’ago della bilancia decisionale.

In ogni realtà aziendale, dalle piccole alle grandi dimensioni, l’arrivo di una nuova risorsa equivale all’ultimo step del recruitment e, contemporaneamente, alla prima fase di inserimento di un elemento all’interno del team lavorativo (troppo spesso confuso con l’orientamento); ogni passo necessita di attenzione e capacità di fornire tutti gli strumenti e le nozioni necessarie affinché le mansioni possano essere svolte al meglio.

Per una integrazione ottimane si devono raggiungere i seguenti obiettivi:

  • fare in modo che i colleghi creino un ambiente accogliente accelerando l’inserimento, rendendolo empatico e dinamico;
  • rendere chiare alla persona le proprie responsabilità e fornirgli le conoscenze necessarie per svolgere efficientemente il suo ruolo;
  • far monitorare la nuova risorsa da un collega (mentor) più esperto, al quale si possa rivolgere in caso di necessità;
  • far sì che le politiche aziendali siano cristalline fin da subito in modo da non incorrere in incomprensioni facilmente prevenibili.

 

Le tempistiche dell’onboarding non sono preventivamente calcolabili: essendo sensibile al tipo di mansione, al livello di progressione del lavoro durante il quale avviene l’inserimento ed al carattere della persona, può variare da poche settimane ad alcuni mesi. Una ricerca condotta dalla BambooHR ha rilevato dall’analisi su un campione di aziende americane, come solo il 15% continui l’onboarding dopo i primi sei mesi: questo è però anche il lasso di tempo all’interno del quale, su 1000 nuovi assunti che hanno intervistato, il 31% ha deciso di abbandonare il nuovo impiego. L’attenzione rivolta alle persone non deve quindi calare repentinamente dopo questo “test di ingresso”, bensì proseguire oltre, terminando nel primo anno di contratto. Sarebbe un errore ridurla in anticipo, confidando nella “autonomia” dei candidati: seppur una risorsa abbia ottime abilità nell’amalgamarsi nel team lavorativo e nel focalizzare le specifiche delle sue mansioni, deve comunque sentirsi supportato e “portato a bordo” con attenzione e rispetto dei suoi tempi.

Queste politiche sono investimenti attivi, finalizzati alla HR Retention, che incorrono direttamente a diminuire il tasso di persone in uscita dall’azienda, aumentando il grado generale di soddisfazione e la capacità di comunicare in modo chiaro e diretto. Gli imprenditori devono valorizzare questo processo, percepirlo nella sua insita utilità a lungo termine ed investire il necessario affinché si svolga nei modi più appropriati. Un’altra ricerca condotta sempre negli USA dalla Brandon Hall Group ha evidenziato come le compagnie che hanno condotto un onboarding di qualità hanno aumentato dell’82% il tasso di retention e del 70% quello della produttività.

Aspettative ed obiettivi sono gli elementi che accomunano entrambe le parti coinvolte, dipendente e datore di lavoro, che devono collaborare sinergicamente affinché l’inserimento sia positivo e crei un feedback altrettanto favorevole da entrambe le parti. Le compagnie che non si focalizzano sufficientemente sull’acclimatamento dei nuovi assunti, sono in evidente svantaggio perché non costruiscono fin da subito un senso di fiducia e di supporto, non supportano la centralità delle persone e quindi non poggiano su valide fondamenta.

Un buon inizio permette buoni ricordi e buoni propositi.

Voi come avete accolto i nuovi talenti? Li avete fatti sentire tali?

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